Nuova disciplina dei reati tributari - Continuità normativa - Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 - Legge 7 agosto 1982, n. 516
  Circolare Agenzia Entrate n. 88 del 27.12.2002
 
   1. PREMESSA
      Con la circolare ministeriale n. 154 del 4 agosto 2000 sono state impartite le prime istruzioni operative sulla nuova normativa in materia di reati tributari.
      In particolare, nel paragrafo 6.4, sono state affrontate le questioni  inerenti alla continuità normativa dei reati a seguito della successione  delle leggi penal-tributarie.
      Le numerose pronunce della Corte di Cassazione su tale problematica  rendono necessarie ulteriori istruzioni agli uffici operativi.
 
   2. UTILIZZAZIONE DI FATTURE ED ALTRI DOCUMENTI PER OPERAZIONI  INESISTENTI
      Con riferimento a tale fattispecie si era evidenziato il contrasto giurisprudenziale sorto in seno alla Corte di Cassazione nella valutazione  della continuità normativa tra l'art. 4, lett. d) della legge 7 agosto  1982, n. 516 - utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti - e la nuova fattispecie di cui all'art. 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000,  n. 74 concernente la dichiarazione fraudolenta.
      Infatti, in un primo momento, la Suprema Corte aveva ravvisato una  sorta di continuità normativa fra le ipotesi richiamate, sull'assunto che la dichiarazione annuale fraudolenta contemplata dalla nuova disposizione  costituisce "elemento specializzante" della pregressa ipotesi di frode  fiscale, la cui volizione e rappresentazione è già insita nella condotta  utilizzatrice, almeno a titolo di "dolo eventuale" (Cass. 29 maggio 2000, n. 6228).
      In seguito, invece, veniva affermato che l'originaria fattispecie  prevista dall'art. 4, lett. d) della legge n. 516 del 1982 di utilizzazione  di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti, che non abbiano  costituito il supporto documentale per l'indicazione di elementi passivi  fittizi nella dichiarazione fraudolenta, resta priva di autonoma rilevanza  penale e non è più configurabile come reato perché la sanzione penale di  cui all'art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 è attualmente ancorata al momento  della dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto (tra le altre, Cass. 3 luglio 2000, n. 7589).
      Le sezioni unite della Suprema Corte, aderendo sostanzialmente alla seconda tesi interpretativa, hanno enunciato il principio di diritto secondo  cui "le condotte di utilizzazione di fatture o altri documenti per  operazioni inesistenti, prodromiche o strumentali rispetto alla fraudolenta  indicazione di elementi passivi fittizi in una delle dichiarazioni annuali  relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, supportata da tali fatture o documenti, non sono più, di per sè, previste dalla legge come  reato" (Cass. SS.UU. 7 novembre 2000, n. 27).
      In sintesi, in base a quanto ampiamente esposto nella motivazione  della richiamata pronuncia, la nuova fattispecie delittuosa di dichiarazione  fraudolenta prevista dal d.lgs n. 74 del 2000 assorbe l'ipotesi di generica  utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti disposta dalla l. n. 516 del 1982, perché, pur contenendo alcuni elementi descrittivi della norma  preesistente, presenta tuttavia ulteriori elementi non riconducibili alla precedente figura, postulando in particolare l'"indicazione" in  dichiarazione di elementi passivi fittizi, non richiesta invece dall'art. 4, lett. d) della l. n. 516 del 1982. Pertanto, per le semplici condotte  prodromiche di "utilizzazione" di fatture o di altri documenti per  operazioni inesistenti "è intervenuta una vera e propria abolitio criminis mediante integrale depenalizzazione della fattispecie".
      La stessa sentenza evidenzia peraltro che, in base ad un indirizzo  interpretativo consolidato, i fatti integrativi del diverso reato di cui  all'art. 4, lett. f), della l. n. 516 del 1982 - dichiarazione dei redditi  fraudolenta mediante indicazione di elementi passivi fittizi - potranno  continuare a costituire una fattispecie punibile alla stregua dell'art. 2  del d.lgs. n. 74 del 2000 (salvo che per quanto attiene all'estensione  dell'attuale incriminazione alla dichiarazione annuale IVA, rispetto alla quale non è configurabile un rapporto di successione modificativa tra  leggi).
      Pertanto, se i dati delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti utilizzati in corso d'anno sono poi confluiti nella  successiva dichiarazione dei redditi, della quale hanno costituito il  supporto fraudolento per la mendace indicazione di componenti negativi di  reddito in misura diversa da quella effettiva, deve ravvisarsi una continuità normativa di illecito.
      La Cassazione ha sottolineato, inoltre, la circostanza che, nei  processi penali in corso, i fatti integranti reato sotto il vigore della  precedente previsione possono continuare ad esserlo alla stregua di quella  nuova qualora, in concreto, gli elementi costitutivi del nuovo reato - nelle  fattispecie in esame, indicazione nella dichiarazione di elementi passivi  fittizi mediante l'uso di fatture o di altri documenti per operazioni  inesistenti - "siano stati chiaramente enunciati nell'imputazione contestata  all'imputato".
      Per contro, nei processi nei quali sia stato contestato solo il  delitto di cui alla lett. d) dell'art. 4 e non anche quello di cui alla  successiva lett. f), ma gli elementi integranti detto reato siano rilevabili  dagli atti del giudizio, "resta riservato alla pubblica accusa la potestà  di contestazione del fatto nuovo attinente al momento dichiarativo, con le  relative conseguenze delineate sul terreno processuale dagli artt. 423,  comma 2 e 518 segg. cod. proc. pen".
      Tenendo conto di tale definitivo orientamento - recentemente ribadito  nelle sentenze 14 gennaio 2002, n. 1146 e 10 aprile 2002, n. 13641 - si  confermano le istruzioni contenute nella circolare n. 154*E del 4 agosto  2000, nella parte in cui si invitavano gli uffici, nel trasmettere le  notizie di reato relative a fatti antecedenti all'entrata in vigore del  nuovo sistema penal-tributario, a fornire comunque la prova dell'inserimento  in dichiarazione degli elementi passivi fittizi, in quanto elemento  costitutivo delle nuove ipotesi delittuose.
      Parimenti, per i procedimenti penali pendenti, anche in mancanza di costituzione di parte civile dell'Amministrazione finanziaria, si ribadisce  quanto già specificato nella richiamata circolare, ossia che gli uffici  finanziari sono tenuti a verificare la sussistenza del requisito della  successiva dichiarazione fraudolenta, inoltrando tale ulteriore  documentazione alle competenti Procure della Repubblica e all'Avvocatura dello Stato incaricata della difesa.
 
   3. IL REATO DI EMISSIONE DI FATTURE PER OPERAZIONI INESISTENTI
      La citata circolare n. 154*E del 2000 ha evidenziato l'esistenza della successione tra l'art. 4, lett. d) della l. n. 516 del 1982 e l'art. 8 del  d.lgs. n. 74 del 2000, in ordine alla condotta dell'emissione di fatture per  operazioni inesistenti, "poiché tra le due fattispecie esiste una  sostanziale identità nella struttura, nel bene tutelato e nelle modalità  di aggressione".
      La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha specificato che, ai  sensi della nuova formulazione legislativa, costituisce elemento costitutivo  del reato di emissione di fatture false il dolo specifico che si identifica  nel fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul  valore aggiunto, escludendo l'esistenza del reato tributario nelle altre  ipotesi. (Cass. 5 aprile 2001, n. 13826 e 15 novembre 2001, n. 40720).  In questo caso, pertanto, la nuova normativa sui reati tributari ha  previsto solo una parziale abolitio criminis, allorché l'emissione di  fatture non sia stata posta in essere con l'intento evasivo a favore di  terzi.
      L'art. 8, infatti, in armonia con la ratio del nuovo sistema penale  tributario - informata sulla repressione dei soli fatti che comportino un rilevante danno per l'erario - configura il reato di emissione di fatture  solo qualora la stessa sia finalizzata a consentire a terzi l'evasione fiscale, in quanto trattasi di comportamento considerato dall'ordinamento  come quello dotato di maggiore intrinseca gravità.
      In considerazione di tali pronunce, gli uffici devono operare tenendo  conto dell'orientamento assunto sulla questione dai giudici di legittimità.
 
   4. IL REATO DI OMESSA DICHIARAZIONE
      In merito al reato di omessa dichiarazione devono ritenersi superate -  alla luce dell'orientamento delle sezioni unite della Cassazione manifestato  con la sentenza 15 gennaio 2001, n. 35 - le indicazioni fornite nella citata  circolare n. 154*E del 2000 nella parte in cui si è sostenuta la continuità tra l'ipotesi contravvenzionale prevista dall'art. 1 della l.  516 del 1982 (omessa dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi o  dell'IVA, se l'ammontare dei redditi fondiari, corrispettivi, ricavi,  compensi o altri proventi non dichiarati è superiore a cento milioni di  lire (pari a euro 51.645,69) e il delitto di cui all'art. 5 del d.lgs n. 74  del 2000 (omessa dichiarazione, al fine di evadere le imposte sui redditi o  sul valore aggiunto, quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire centocinquantamilioni, pari a euro  77.468,53).
      Le sezioni unite, infatti, risolvendo il contrasto interpretativo  emerso all'interno della terza sezione, hanno sancito la disomogeneità  strutturale tra le due fattispecie normative. Secondo la Suprema Corte, il  d.lgs n. 74 del 2000, con riferimento alla fattispecie di omessa dichiarazione, ha introdotto nel fatto illecito elementi costitutivi nuovi e  diversi che determinano "una frattura tra l'originaria figura contravvenzionale di omessa dichiarazione fiscale, scissa dall'intento di  evasione, e la nuova figura di omessa dichiarazione, connessa al  perseguimento dello scopo di evasione, attuato mediante il raggiungimento  della soglia quantitativa di lire 150 milioni che sia stata oggetto di  previa volizione". Di conseguenza, non potendosi sostenere una continuità tra vecchia e nuova normativa in funzione dell'identità dell'interesse  protetto, "si versa nell'ipotesi dell'abolitio criminis prevista dall'art.  2, secondo comma, c.p.".
      Tenendo conto di tale definitivo orientamento, appare necessario  adeguarsi alla interpretazione del giudice di legittimità. Pertanto, per i reati di omessa dichiarazione commessi prima  dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 74 del 2000 viene meno l'obbligo di  denuncia all'Autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 331 del codice di  procedura penale.
 
   5. IL REATO DI DISTRUZIONE E OCCULTAMENTO DI DOCUMENTI
      Si richiama l'attenzione, infine, sul delitto previsto dall'art. 10 del  d.lgs. n. 74 del 2000, che punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di consentire l'evasione a terzi,  occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la  ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
      In proposito appare ormai consolidato l'orientamento della Corte di  Cassazione in ordine alla sussistenza della continuità normativa di tale  fattispecie delittuosa rispetto a quella prevista dall'art. 4, lett. b)  della l. n. 516 del 1982, attesa l'identità strutturale delle medesime  (Cass. 19 marzo 2001, n. 10873 e 8 agosto 2001, n. 30896). 
      Le Direzioni Regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle  presenti istruzioni.
 
				 
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