Mercoledì 7 aprile 2021

L’amministratore si fa carico delle sanzioni se la Società è uno “schermo”

a cura di: Ufficio di Cassano delle Murge
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Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di Società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica, a meno che questa non rappresenti un mero “schermo” o di fatto una società "familiare e individuale" (quando si gestisce la cassa a proprio piacimento, prelievi non giustificati, versamenti in cassa per contanti, ecc.) , nel qual caso l’obbligazione si sposta (a titolo solidale) sull’amministratore, anche di fatto, che abbia perseguito tramite l’ente fittizio uno scopo illecito.

È quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza n. 8811/2021 della Corte di Cassazione (Sez. V civ.), pubblicata il 30 marzo.

Il caso- L'Agenzia delle Entrate ha notificato al contribuente, quale amministratore di fatto di Soc. coop. a r.l., relativamente all'anno di imposta 2002, un atto di contestazione per omessa tenuta delle scritture contabili e omesso versamento delle ritenute del personale dipendente, nonché due avvisi di accertamento per maggiori imposte IRPEG, IVA e IRAP nonché per omesso versamento delle ritenute del personale dipendente.

Ebbene, avverso i suddetti atti impositivi il contribuente ha proposto ricorso che è stato rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, il cui verdetto ha trovato conferma in sede di giudizio di appello.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, nel confermare la decisione del primo Giudice, ha, in particolare, osservato che l’appellante, nel corso del 2002, per tutto il periodo in cui erano state riscontrate le violazioni, era l'amministratore unico e legale rappresentante della Società; e anche dopo la cessazione della carica di amministratore della società, il contribuente aveva, di fatto, continuato nella attività e non aveva rilevanza, quale prova contraria, la sentenza penale di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.

Sono state, dunque, queste le ragioni poste dalla C.T.R. a fondamento della decisione pro-fisco.
La Suprema Corte ha però preso le distanze dal suddetto ragionamento decisionale.

Ragioni della decisione - Innanzitutto, gli Ermellini hanno affermato che la sentenza censurata ha fatto conseguire dall'accertamento della qualifica del ricorrente quale amministratore, anche in via di fatto, della Società la sua responsabilità per le obbligazioni tributarie riconducibili a quest'ultima, sicché la stessa è in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità con riguardo all'art. 36, D.P.R. n. 602/1973, con conseguente vizio di violazione di legge.

Ad analoga conclusione i Massimi giudici sono giunti con riguardo alla irrogazioni delle sanzioni, posto che le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di Società o enti con personalità giuridica, ai sensi dell'art. 7, decreto-legge n. 269/2003, (conv. dalla legge n. 326/2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest'ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all'art. 9 D.lgs. n. 472/1997, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l'applicabilità delle disposizioni del D.lgs. n. 472/1997, ma solo in quanto "compatibili" (Cass. civ., n. 25284/2017).

È stato, inoltre, precisato che «l'amministratore di fatto di una società alla quale sia riferibile il rapporto fiscale ne risponde direttamente qualora le violazioni siano contestate o le sanzioni irrogate antecedentemente alla data di entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, stante la disposizione di diritto transitorio di cui all'art. 7, comma 2, del menzionato decreto e la disciplina precedentemente vigente dettata dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 2, e art. 11» (Cass. n. 9122 del 23/4/2014).

Infine, si è detto (Cass. civ., n. 28332/2018) che tale orientamento incontra un limite nella artificiosa costituzione ai fini illeciti della Società di capitali, potendo allora le sanzioni amministrative tributarie essere irrogate «nei confronti della persona fisica che ha beneficiato materialmente delle violazioni contestate. In tal caso, la persona fisica che ha agito per conto della società è, nel contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell'esclusivo interesse della persona fisica. Non opera pertanto il D.L. n. 269 del 2003, art. 7, secondo cui nel caso di rapporti fiscali facenti capo a persone giuridiche le sanzioni possono essere irrogate nei soli confronti dell'ente, in quanto detta norma intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente e, in particolare, l'ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell'interesse della persona giuridica medesima».

L’errore della CTR - Pertanto, con riferimento al caso di specie – chiosano gli Ermellini - «trova applicazione l'art. 7, decreto legge n. 269/2003, posto che dal ricorso si evince che l'accertamento è derivato da un processo verbale di constatazione redatto nel 2006, sicché non può configurarsi la responsabilità del ricorrente, quale amministratore o amministratore di fatto della società, a titolo solidale per le sanzioni comminate alla società; non emerge, infatti, dalla sentenza impugnata che l'Amministrazione abbia dedotto nelle proprie difese la questione della fittizietà della società, che sarebbe stata creata nell'esclusivo interesse del ricorrente, né tale questione è stata affrontata dai giudici di merito e, pertanto, la sentenza, sul punto, risulta viziata da violazione di legge».

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