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I termini nel processo civile

Lunedì 10/03/2025

a cura di AteneoWeb S.r.l.


Nel processo civile, i termini degli atti processuali, ossia i periodi di tempo entro i quali devono essere compiuti determinati atti del processo, sono disciplinati dagli articoli da 152 a 155 c.p.c..

Comprendere queste disposizioni è fondamentale per chiunque sia coinvolto in un procedimento civile, sia come parte, sia come professionista del diritto.

L'articolo 152 c.p.c. precisa innanzitutto che “I termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge” (cosiddetti “termini legali”)
e
“possono essere stabiliti dal giudice anche a pena di decadenza, soltanto se la legge lo permette espressamente.”

Pertanto l’art. 152 c.p.c. distingue tra:
  • Termini legali: stabiliti direttamente dalla legge.
  • Termini giudiziari: stabiliti dal giudice.


Chiarisce inoltre che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori.

Il codice pertanto classifica i termini in perentori e ordinatori.

L’art. 153 c.p.c. chiarisce che “I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti.”

Questo articolo sancisce l'improrogabilità dei termini perentori, sottolineando che, una volta scaduti, non è più possibile compiere l'atto processuale previsto, salvo casi eccezionali previsti dalla legge.

L’applicazione di questo concetto al processo, può comportare conseguenze molto gravi per chi non rispetta i termini perentori, ad esempio:
    • la decadenza dal potere di compiere l’atto processuale.
    • l’inammissibilità dell’atto compiuto tardivamente.
    • l’improcedibilità o l’estinzione del procedimento (es. mancata impugnazione nei termini).
    • la possibile perdita del diritto sostanziale collegato all’azione giudiziaria.


Un esempio di termine perentorio è il termine per proporre appello contro una sentenza (art. 325 c.p.c.), che è di 30 giorni. Se la parte non rispetta questo termine, perde il diritto di impugnare la sentenza e questa diventa definitiva. Questo perché il termine per l'appello è considerato essenziale per garantire la certezza del diritto e la stabilità delle decisioni giudiziarie.

Solo la legge può spostare un termine perentorio, come è ad esempio successo durante l’emergenza COVID, ove è stata eccezionalmente stabilita la sospensione del “decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”.

Il codice lascia inoltre discrezionalità al giudice, al fine di valutare – caso per caso - se il termine, per quanto perentorio, non è stato da una parte rispettato per causa ad essa non imputabile, come risulta dall’ultimo periodo dell’art. 153 cpc: “La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma.”

L’art. 154 c.p.c. dispone viceversa in tema di termine ordinatorio e chiarisce già nel titolo che il termine ordinatorio è prorogabile da parte del giudice. “Il giudice, prima della scadenza, può abbreviare, o prorogare anche d'ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza. La proroga non può avere una durata superiore al termine originario. Non può essere consentita proroga ulteriore, se non per motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato.”

Per quanto l’art. 152 c.p.c. precisi che “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”, sono tanti i termini che il c.p.c. stesso indica come perentori.

Ad esempio: 
  • l’art. 325 c.p.c. - Termini per le impugnazioni


Il termine per proporre impugnazione è di trenta giorni, se l'atto è notificato, e di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza in caso contrario. Tali termini sono perentori.
  • l’art. 327 c.p.c. - Decadenza dall'impugnazione


Indipendentemente dalla notificazione, il termine per proporre impugnazione non può superare sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. Tale termine è perentorio.
  • l’art. 641 c.p.c. – Opposizione


L'ingiunto può proporre opposizione nel termine perentorio di quaranta giorni dalla notificazione del decreto.

In realtà, i termini legali sono generalmente perentori, cioè non possono essere prorogati, mentre i termini giudiziari possono essere sia ordinatori (prorogabili), sia perentori (non prorogabili), a seconda di quanto stabilito dal giudice.

I termini perentori sono essenziali per la certezza del diritto, soprattutto riguardo all'impugnazione degli atti e alla costituzione in giudizio.

I termini ordinatori hanno una funzione di regolazione del processo e la loro inosservanza non porta necessariamente alla decadenza, ma può avere conseguenze processuali.

Infine, l'articolo 155 disciplina il computo dei termini, stabilendo le regole per il calcolo dei giorni, dei mesi e degli anni. In particolare, prevede che:
  • nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l'ora iniziali;
  • per il computo dei termini a mesi o ad anni, si osserva il calendario comune;
  • i giorni festivi si computano nel termine;
  • se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo; tale proroga si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono nella giornata del sabato; mentre resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, che ad ogni effetto è considerata lavorativa.
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