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'Se è leggibile non è la mia firma'. Un mantra quotidiano, per i notai

Martedì 17/06/2025

a cura di Notaio Gianfranco Benetti
Perché il notaio si ostina a torturare le parti imponendo una firma che spesso non è quella usuale, che è un po’ parte di noi, ci caratterizza? Che firma è se deve essere leggibile e riportare anche il secondo e terzo nome, che non ricordavo nemmeno di avere?
Facile rispondere che non si tratta di sadismo notarile, ma che è imposto dalla legge: l’art. 51 c. 1 n.10, L. 16.2.1913 n.89 (la legge notarile, LN) richiede infatti “la sottoscrizione con “nome e cognome” degli atti notarili.
Ma, dato che ogni disposizione di legge ha (o dovrebbe avere) una ragione, qual è in questo caso, dato che c’è il notaio ad attestare non solo chi sta firmando il contratto, ma anche che ne ha ben compreso il contenuto e che il contenuto è conforme a legge?

Pochi sanno che i notai e gli atti stipulati, pubblici e autenticati, sono soggetti a stringenti controlli pubblici, non solo da parte del Consiglio notarile di appartenenza, che ha un ruolo analogo agli ordini professionali, ma anche, e soprattutto, dall’archivio notarile del tribunale competente, ufficio pubblico istituito a presidio della pubblica funzione.

Gli atti notarili sono infatti “beni pubblici la cui tenuta e conservazione è provvisoriamente affidata ai notai in esercizio, poi devoluta all’Archivio notarile, ed infine all’archivio di Stato, ove costituiscono anche un prezioso patrimonio per gli storici.
I funzionari dell’archivio notarile, con competenza e rigore, vigilano sull’operato dei notai, ed ogni due anni ne controllano tutti gli atti stipulati; in caso di inosservanza della legge, sia in merito al contenuto, sia alla forma, chiedendo l’eventuale irrogazione di sanzioni, che partono da pene pecuniarie per giungere, nei casi più gravi, a sospensione e destituzione.
Tra i controlli formali rientra indubbiamente la firma delle parti, che va apposta in calce all’atto e sui margini dei fogli, per assicurare la riconducibilità del contenuto del documento, in ogni sua parte, alla volontà delle parti.
Se manca quella finale viene chiesta la nullità dell’atto, e sospeso il notaio (art. 58 c. 1 n. 4, LN, art. 606 c1 c.c.), se mancano quelle marginali le sanzioni sono graduate e in caso di recidiva si arriva anche alla destituzione (art. 142 lett. b LN).

Ebbene, per esercitare questo controllo i conservatori dell’archivio devono capire chi ha firmato e dove, e ricondurre la firma al soggetto: se non è leggibile non possono farlo, e nei casi più gravi possono considerarla come non apposta, sanzionando sì il notaio, ma soprattutto le parti, che potrebbero ritrovarsi in mano un rogito privo di effetti.
L’interpretazione data nella prassi alla norma tende per fortuna a ricondurla alla sua ratio, e non è rigorosissima: “quando la sottoscrizione vi sia e, nonostante omissioni inesattezze, non induca incertezza circa l'individuazione del sottoscrittore, il requisito di forma preteso dalla legge notarile deve considerarsi soddisfatto” (Cass. 8 novembre 1974 n. 3424), lo stesso se il testatore firma con nome diverso dall’anagrafe ma noto a tutti (Cass. 22 luglio 1966 n.1999). Recentemente la giurisprudenza di merito (Trib. Reggio Emilia 15 dicembre 2005), ha rilevato che la legge non richiede espressamente che la firma sia “leggibile” ed ha quindi salvato il contratto e assolto il notaio; la Corte d’Appello di Milano (Sent. 24 marzo 1981) però, pur conservando la validità dell’atto, il notaio l'aveva invece sanzionato (ex art. 53 c. 1 LN, che per la verità richiede la leggibilità dell’atto non delle firme).
La leggibilità si estende alla firma del notaio, che essendo depositata all’archivio notarile è valutata con minor rigore, anche se non sono mancate richieste di falso in atto pubblico in caso di sua firma con la sua sola sigla, per fortuna non avallate dalla Cassazione penale (Cass. 7 ottobre 1983 n.10355).

E nemmeno gli atti notarili informatici (art.  52 bis LN, art. 25 c. 2 D. Lgs 7 marzo 2005, n. 82, Codice amministrazione Digitale, CAD,) sono immuni da questo formalismo, se sottoscritti su tablet, con firma elettronica grafometrica.
Ma la necessaria leggibilità supera l’ambito notarile, e comprende ad esempio, la delega rilasciata all’avvocato, o l’atto di citazione in giudizio, o la fideiussione: se l’illeggibilità o l’incompletezza è rilevata da un avvocato cavilloso, rischia di far crollare tutto il procedimento dalle fondamenta, e può far perdere la causa anche se si ha ragione da vendere (le sentenze Cass. 11/02/2009, n. 3362; Cass. 09/01/2002, n. 192, Cass. 07/08/2000, n.10360, l’hanno tendenzialmente escluso, ma intanto la vicenda era arrivata al terzo grado di giudizio), pregiudicare l’esito di un ricorso tributario (Comm. Trib. centr., 12/04/1990, n. 2929, Cass., sez. Trib. 15 gennaio 2009, n. 874) o la partecipazione a una gara di appalto (Cons. Stato, 28/02/2005, n. 710; T.A.R. Lazio 27/06/2001, n. 5797).
Quindi, vale la pena di fare un piccolo sforzo, una lieve forzatura delle nostre abitudini. Tanto anche se non è quella che si fa di solito, resta la nostra firma.
Lo confermano i notai, per gli atti pubblici, ma anche i periti grafologi che frequentano gli studi notarili, muniti di microscopio, lenti, scanner, lampade UV o IR, fotocamere, ed analizzano la pressione del tratto, l’inclinazione e l’andamento, le forme e proporzioni della scrittura, verificandone la coerenza con lo stile abituale di chi ha firmato.
Partendo sempre da un campione comparativo sicuro: quello notarile. Leggibile però ...
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